Capitolo 26
Seguo la figurina snella fino alla fine del corridoio. Due porte. Mi apre quella a sinistra e mi ritrovo in una stanzetta con un divano basso, coperto da un telo blu e da due grandi cuscini bordeaux. Mi accomodo accovacciata, quasi a terra. Le ginocchia, se mi proietto in avanti, potrebbero sfiorarmi il mento. Lei si siede su una sedia vicino ad un tavolino. Intorno diversi giochi che mi fanno intuire che da queste parti passano diversi bambini e mi intristisco.
– Bene, come posso aiutarla?
Non so proprio come rispondere. Mi ritrovo lì dopo tanti anni di dolore, con coraggio ad individuare un filo rosso a cui aggrapparmi, alla ricerca di un ancoraggio che non mi permetta di perdermi in quel mare di pensieri che mi sta devastando. Alzo lo sguardo dai miei piedi e i miei occhi si offuscano per le lacrime che non riesco a trattenere. Fortunatamente, Augusto intrufola sempre nella mia borsa qualche pacchetto di fazzoletti. Ne estraggo uno e mi asciugo le guance. Mi sento una bambina ferita, invece sono un’adulta disperata. I suoi occhi si fanno dolci e comprensivi, in contrasto con la durezza dei lineamenti. Mi sento completamente compresa in quello sguardo e come un fiume le parole tracimano dalla mia bocca, senza freni. Parlo accavallando pensieri, fatti, fantasie e lei mi ascolta senza interrompermi, con attenzione e premura.
Quarantacinque minuti passano veloci e ne seguiranno diversi di incontri, per anni. Ho trovato Margherita e con lei sto cercando di ritrovare anche me stessa.

