
Dislessica, discalculica, disortografica, dis…
L’elenco le era apparso estremamente lungo e complesso, infarcito di paroloni altisonanti e incomprensibili. A dodici anni aveva ritenuto conveniente trattenere di quel lungo colloquio con la psicologa solo pochi dettagli che l’avevano colpita: il cassetto di caramelle e snack che scorreva veloce all’occasione per rifocillare la bocca famelica della dottoressa, i disegni malfermi appesi come trofei alle pareti, il cubo di Rubik risolto sulla scrivania e quel cantilenante suffisso dis- che ritmava la monotonia della voce e l’espressione coinvolta della sua esaminatrice.
Non poteva passare inosservato nemmeno lo sguardo pietoso che la psicologa rivolgeva ai genitori e l’ilarità che lentamente stava ravvivando sua madre.
“Fortunatamente, sua figlia ha un’autostima solida. Tutti questi anni senza una diagnosi non hanno inciso sulla personalità.”
La voce compunta, il tono grave e l’atteggiamento rassicurante della professionista non frenarono lo scoppio di risa di Benedetta.
“Mi scusi.” E mentre cercava di moderarsi, grosse lacrime le scivolavano agli angoli degli occhi, come se qualcuno la stesse scuotendo con il solletico.
“Mi fa piacere che l’abbia presa così bene.” Il tono era apparso scocciato.
“No, è che parlare di diagnosi mi risveglia ricordi che a confronto mi fanno sorridere.”
La psicologa si stava incazzando.
“Insomma…di dislessia non si muore.” Sentenziò tra i singhiozzi Benedetta.
Alice, però, da acuta dodicenne si era portata dentro quel suffisso dis- come un grande interrogativo:
dis?
Negli anni, ogni tanto, era tornata indietro con la mente a quel giorno, cercando di posizionarlo nel puzzle incasinato della sua breve vita. Aveva provato a collocare, nei suoi circuiti all’incontrario, la solennità della psicologa, l’ilarità della madre, che le era apparsa un po’ offensiva, e quella diagnosi che sembrava dare un senso più al mondo che la circondava che non a lei.
Ora, a diciassette anni, dopo lunga disamina, è giunta al punto dal quale era partita: la sua situazione è un problema più per gli altri che non per sé.
Ognuno aveva reagito alla notizia attribuendo un significato diverso al suo atteggiamento, al suo modo particolare di interagire con l’esterno.
La scuola e gli insegnanti avevano dovuto ingoiare il boccone amaro del pdp (piano didattico personalizzato) e omettere le parole che con spontaneità avevano sempre rigurgitato nei colloqui e nelle pagelle: dis-ordinata, dis-tratta, dis-persiva, dis-impegnata. Un’alunna dis-graziata.
Ora, tutto il dis-amore che Alice manifesta per lo studio e per ciò che accade in classe viene tradotto in: “L’allieva, dato il Q.I. molto alto, compensa perfettamente le sue difficoltà.”
Ovvero: “Non penserà mica di farla franca con questa certificazione. Qui le diagnosi crescono come funghi e non ci facciamo infinocchiare dallo svogliato di turno.”
Alice, allora, sottostà silenziosa al continuo mancato utilizzo degli strumenti compensativi e dispensativi e, soprattutto, subisce sofferente lo stigma del furbetto.
Si sente sempre più una preposizione dis-giuntiva rispetto alla preposizione principale: l’istituzione scolastica.
Il suo dis-tacco rispetto alla vita che ruota intorno alla scuola, si trasforma in dis-appunto quando il confronto si sposta nel campo più sensibile degli affetti.
Alla commiserazione degli amici “normali” risponde con un dis-creto, ma inesorabile, allontanamento e la cerchia si modifica, accogliendo tutti i numerosi fenomeni singolari nei quali la natura umana , fortunatamente, si esprime: tutti coloro che nel loro curriculum vantano un qualsivoglia suffisso dis-.
Le sue compagnie e la turbolenza insita nell’adolescenza impongono, invece, ai genitori un continuo batticuore che li distrae dal problema dei “disturbi dell’apprendimento”, orientandoli marcatamente verso i possibili effetti del dis-agio giovanile.
Alice, insomma, a tutto è interessata tranne che a dare risposte alla mitragliata di domande che la subissa: cosa intendi fare della tua vita? Vuoi guardarti intorno? L’università? Stai già orientandoti? Possibile che tu non abbia un interesse? Non vorrai passare la tua vita sul divano? Una passione non ce l’hai?

