
Granitica
Quando l’aveva vista la prima volta era stato travolto dal suo fisico grande, forte, fermo. Una ragazza di diciassette anni con spalle larghe, fianchi ben piazzati desiderosi di gravidanze, gambe piantate a terra. Radicava in ogni posto in cui si trovava, in qualsiasi condizione. Niente la scalfiva. Benedetta riusciva a stare ferma in mezzo alla tempesta, a schivare i grani grossi della grandine, a non piegarsi al vento che la sferzava. Si opponeva con il vigore dei suoi muscoli, con la durezza delle sue ossa, con la ruvidezza della pelle che non si lasciava mai ferire. Era rimasto spiazzato ai suoi piedi ad ammirare quella dea buona, misteriosa, golosa. Si era sentito per la prima volta in vita sua al riparo, protetto, difeso. Camminavano per ore e non doveva pensare a nulla, poteva godersi ogni attimo senza temere una catastrofe, non doveva tenere alta la guardia, stare all’erta. Si lasciava cullare dal respiro lento dei loro passi, dal profumo dolce di pane dei suoi capelli. Le sue labbra di miele placavano le parole dure, le carezze addolcivano i pensieri dolorosi, i sorrisi spalancavano nuovi orizzonti. Si era fatto tentare dalle sue offerte e aveva abdicato per un angolo di pace. Aveva creduto che sarebbe stato facile amarla senza riserve, fondersi dentro di lei e possederla per sempre. Non aveva visto il percorso pericoloso che stava intraprendendo, era frastornato da tanta soave delizia, dal piacere, dal gusto di ogni centimetro di quel corpo olivastro, morbido e accogliente. Negli anni insieme non aveva mai tradito le sue aspettative, si era fatta mansueta e aveva tenuto fede alla promessa di custodirlo. Si era fatta carico di ogni catastrofe, piccola o grande, quotidiana o straordinaria, prevedibile o inattesa. Aveva dimostrato che le sue erano buone spalle, che potevano sopportare pesi inauditi, che sapevano voltarsi e provvedere a tutte le necessità. Aveva amato sempre di più la sua donna. Ora, Benedetta è stanca. La guarda, osserva la sua fragilità e la trova più preziosa della forza dimostrata. Il corpo è sempre ritto, ma i dolori alla schiena le increspano il volto, le gambe sono meno scattanti e si lascia guardare con occhio più benevolo. Sorride dei crampi alle mani, dei capelli scompigliati, della cervicale che la fa impazzire e permette ad Augusto di massaggiarla con movimenti che si rivelano vigorosi, capaci di piegare le tensioni più accanite. Come un film al contrario, è lui che riavvolge lento, secondo i suoi ritmi, la pellicola e i ruoli si invertono. C’è spazio per entrambi e ognuno può delicatamente esserci, senza tradire sé o l’altro. Camminano lenti lungo il viale alberato del parco e, se non fosse così caldo, le foglie gialle ingannerebbero e farebbero pensare all’autunno inoltrato. Invece, ad agosto, la siccità ha rubato il verde dai prati e le foglie secche piovono in turbini danzanti. Per la prima volta non corrono, ma passeggiano.
– Che bella serata. Non ci siamo mai concessi il parco al tramonto.
È vero, non sanno nemmeno che d’estate chiude così tardi da offrire lo spettacolo dei raggi che si infilano tra i rami più bassi, facendo brillare i tronchi argentei delle betulle.
– Che stupida, eh?
Augusto la guarda e sorride.
– Non è colpa tua.
Benedetta pronta si accolla la responsabilità per tutte le svariate incombenze che la tengono lontana dal godersi la vita.
– Lo so.
Si sente punta, un po’ offesa. Augusto ride della sua stizza, la conosce e sa che si sarebbe aspettata almeno l’offerta di un concorso di colpa.
– Tu non sei capace di gustarti le cose. Se puoi metterci più fatica e più sforzi, fai in modo di riuscire nell’impresa.
Benedetta non si inalbera, non cerca il confronto, ma accetta silenziosa la verità.
– Insegnami tu a vivere.
La sua voce tradisce una sincera disponibilità. Benedetta si affida senza riserve ad Augusto e, mano nella mano, continuano a camminare. Cede alla lentezza che le permette di guardarsi intorno e si siedono su una panchina di sasso, sotto una quercia. Augusto approfitta dell’offerta e si prende cura della donna al suo fianco, come spesso avrebbe voluto fare anche in passato.

