Alice

Pronti, partenza…via

Alice ha sempre odiato l’invidia nascosta di sua madre per gli egoisti. La guarda irrigidirsi di fronte alla spensieratezza di chi è capace di godersi la vita, la sente commentare malignamente la schiettezza di chi sa dire di no e tacciare di debolezza chi non si offre gratuitamente all’altro. Tutto il mondo materno è un continuo prodigarsi inutilmente per ogni esigenza piccola, banale o assurda che bussi alla sua porta. La controlla sul divano la sera, distrutta dalla giornata, non provando alcuna empatia per quella cinquantenne che potrebbe vivere serenamente e, invece, quando le manca del suo, ci mette i problemi degli altri a riempirle l’esistenza. Più quel mondo si arricchisce di incombenze, più il suo diventa spensierato. Così, mentre tutta l’estate Benedetta si è divisa tra una richiesta e l’altra, Alice si è spesa ogni minuto per conquistarsi il suo piccolo paradiso. Adesso, al mattino, è la sveglia il suo peggiore aguzzino, il persecutore diabolico che la costringe a mettere i piedi per terra. La scuola è ricominciata con tanto di squilli di tromba: le strade si sono ripopolate di auto rumorose ed inquinanti che uccidono sull’asfalto ogni sentore dell’estate. Stoicamente ha deciso di fare a meno dell’abbonamento all’autobus, per tutti una scelta ecologica encomiabile, per lei l’unico modo per uscire dal torpore pigro in cui il suo corpo si è avviluppato. Andare a piedi la mantiene in forma e, soprattutto, le evita di mischiarsi alla gente che frequenta i mezzi pubblici. A differenza di sua madre e sua sorella che, contro ogni razionalità, si ostinano a trovare interessante confondersi tra i corpi maleodoranti, Alice preferisce di gran lunga le strade addormentate del centro, le saracinesche chiuse e i bar che emanano profumo di brioche. Si trova con le compagne, beve un cappuccino, si fa due risate prima della galera che, agli inizi, le concede ancora molte ore di libertà: il suo mondo segreto, fatto di relazioni che nessuno può vedere, influenzare, giudicare. La levataccia le consente di prendersela comoda, come piace a lei. Questa mattina, inaspettatamente, la sorprende l’aria fresca di ottobre e la travolge la malinconia. Sulla pelle ambrata dal sole i peli si rizzano in rivolta, vogliono manifestare il disappunto per il freddo che non avevano previsto. L’effetto sull’anima è la percezione che qualcosa sia finito per lasciare il passo ad un ignoto poco attraente, che ti coglie impreparato con il suo alito di ghiaccio. Alice sbuffa. Pensa già di dover abbandonare gli amati calzoncini corti, le canotte microscopiche, gli abitini-fazzoletto. Vorrebbe fare retromarcia e rintanarsi in un agosto infinito. Non gliene frega niente della siccità che ha assetato la terra e fatto agonizzare i fiumi, Alice rivuole la sua estate, le sue vacanze, le sue feste in piscina, le gite al lago…tutto quell’infinito benessere dello stare insieme, del ridere, dello scherzare, dell’amarsi. Sale le scale tra le chiacchiere chiassose delle amiche e si dirige, con la schiena un po’ curva, al suo banco. Questo è l’ultimo anno di una lenta agonia iniziata alla materna, dall’anno prossimo, se Dio vuole, ci sarà l’università. I banchi sono diradati, molti sono stati spazzati via dal covid. Si è accaparrata un posticino con vista sull’irrinunciabile finestra, salvagente nel mare di noia che l’attende. Appena sposta la sedia si rende conto di non avere lo zaino e, in un lampo, lo visualizza ai piedi del tavolino del bar. Si tocca angosciata la tasca dei pantaloni e tira un sospiro di sollievo: il cellulare è salvo. Lo zaino aspetterà il suo momento e si accomoda tranquilla al suo posto.

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