Augusto,  Benedetta

Il freddo siberiano

Si tengono per mano alla ricerca di un compromesso per godersi la mattinata. Le foglie cadono a pioggia dagli alberi, sospinte dal vento leggero e sanno dei colori caldi della zucca e delle mele, dei cachi e delle pere. Augusto è dimagrito e il cappotto blu avvolge il suo corpo di note infantili, ricorda a Benedetta i loro primi appuntamenti con il montgomery sbilenco e la sciarpa di traverso. Peccato per quel cappello che non hanno mai amato, ma che oggi sembra migliore. Gli calza stretto e trattiene gli occhiali come un elastico, gli incornicia il volto, esaltando la luminosità del suo incarnato. La pelle è liscia e bianca, gli occhi calmi e sorridenti. Queste strade vicino a casa le percorrono distratti tutti i giorni, strappati alla gioia della loro normalità dal tempo del lavoro. Di domenica, possono fermarsi a fotografare il tiglio spoglio, ad ascoltare il fruscio delle foglie tra i piedi, a scaldarsi con le mani intrecciate e a baciarsi ad occhi chiusi. Gli anni si annullano, anche se un timido pudore fa sentire Benedetta troppo vecchia per essere ancora innamorata. Chiacchierano, impegnati in discussioni sull’esistenza che li rendono noiosi e trovano strade per capirsi, scorciatoie per non perdersi. Le ragazze li prendono in giro perché escono poco, non si divertono abbastanza, ma a loro è precluso questo mondo, l’intimo spazio della loro affinità. Camminano ascoltandosi, mano nella mano, quando qualcosa di familiare appare sul marciapiede. Un folletto biondo, con il suo corpo snello ed agile, doma tenendoli al guinzaglio due montagne di pelo bianco ispido. Una vecchia conoscenza di Augusto, che ha scandagliato ogni angolo remoto della sua anima. Benedetta si sente punta dalla gelosia e, avvicinandosi, slega la mano. Vuole dimostrare, senza toccarlo, che il loro legame , nonostante tutto, perdura. La presenza inattesa è calma e imbarazzata, lo sguardo si perde dietro gli occhiali spessi, piccole fessure che svelano pochissimo. Parla dei suoi cani e ascoltano affascinati. Sono due husky, ma sono più alti e vigorosi di quanto ci si aspetti, più simili a veri lupi. L’occhio vitreo, quasi vuoto, i colori freddi del pelo, la fierezza del muso e la nota di aggressività, che accompagna i loro movimenti, sono lo specchio perfetto di come Benedetta si sentiva, quando non era più in grado di percepire nulla. Nei periodi freddi della sua analisi, i sogni si erano cristallizzati in panorami di ghiaccio, era prigioniera di scogliere bianche, il vento era sferzante e la sua casa si era fatta igloo per conservare le emozioni, surgelate come pezzi di carne. Racconta la storia triste di Delta, schiava in allevamenti abusivi e di Alexej, recuperato in Serbia in condizioni misere, accolto e curato. Mentre parla, Benedetta pensa a quel patatone del loro coniglio nano, palla di pelo saltellante che ricorda un peluche. L’unico suo trauma l’essere rimasto in vetrina più a lungo degli altri e l’essere stato svenduto. Benedetta si fionda ad accarezzarli senza pensarci e, da incosciente, si fa travolgere dai musi bagnati e prepotenti, dalle zampe massicce. Tanto entusiasmo la diverte e il suo coraggio la promuove a loro pari, immediatamente. Il buffo elfo continua a parlare con la sua voce pacata, ma Benedetta si è persa ad osservare Delta. Un occhio è nocciola, l’altro un bicchiere di angelo azzurro. Nonostante la bicromia, si percepisce che gli appartengono entrambi, accomunati dalla stessa luce. Come risvolti della stessa medaglia, incorniciati in ciglia bianche che sembrano posticce, l’ammoniscono di tenere sempre insieme le sue due anime. Delta buca con i suoi occhi, l’attraversa e si sente vuota, spogliata di ogni maschera, costretta a fare i conti con se stessa attraverso il suo sguardo. Ogni tanto interrompe le loro chiacchiere, a dimostrazione della sua presenza, ma la testa è già altrove. La vecchia terapeuta tiene stretta le redini dei suoi animali, mentre Benedetta punta dritta Delta e cerca di carpire il segreto della sua grazia, di come riesca a tenere insieme il marrone e il blu, il caldo e il freddo, senza che nessuno si accorga dell’abisso che li separa. Sente Augusto salutare e abbandona un arrivederci frettoloso, assetata di quel segreto che il vento freddo si è portato via. Sono di nuovo soli e l’ assalgono, come frecce avvelenate, mille dubbi. Ha paura di aver perso quanto conquistato con i faticosissimi anni di analisi e chiede ansiosa se è stata invadente. Teme di aver sottratto spazio, come quando risponde al posto delle figlie o, da bambina, fremeva per rispondere alla maestra, con la mano tirata dritta per aria e il culo sollevato dalla sedia. Augusto sorride sorpreso e la rassicura divertito. Benedetta ammira i risultati dell’analisi del marito. Quell’elfo ridicolo era riuscito in un’impresa titanica, dimostrando competenza e professionalità, oltre alla dote che più le invidia: un’intelligenza sensibile e raffinata. Nel frattempo sa di non aver rispettato i suoi confini e, rabbrividendo, se ne dispiace.

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