
Compagna
Pantalone di riciclo, color crema.
– Andrea, ma sono estivi! Dove li hai pescati?
Benedetta abbassa gli occhiali fino alla punta del naso e osserva divertita la sua ragazza.
– Mi fanno un culo pazzesco, vero?
E, come sempre, la costringe a passare in rassegna i risultati della boxe e gli allenamenti con il bilanciere. Benedetta osserva, ma non vede niente, perché sta già pensando ad altro.
– Allora?
Andrea tradisce un po’ d’ansia per il verdetto che seduce con un caldo sorriso.
– Perfetta.
Lo dice schietta non per placare la sua agitazione, ma perché le piace veramente il suo modo bizzarro di agghindarsi e di arrangiare accostamenti.
– Bella la collana.
Una macchia oro troneggia sul maglioncino nero e le illumina il volto truccato.
– É il regalo di Francesca.
Con la mano accarezza le pepite schiacciate e il pensiero si fa malinconico. Entrambe pensano all’amicizia, che va e che viene, ma che in fondo resta per sempre.
– Direi che mi devo preparare.
Senza fatica si alza dalla tavola, devastata dalla cena, si infratta in bagno e, in via eccezionale, se ne frega di sistemare, sollecitata dall’urgenza dell’uscita serale. Benedetta non lo dice, se la tiene per sé quella gioia delicata che si crea dall’avere del tempo esclusivo, fuori casa, da trascorrere con la figlia.
Andrea freme e spera che sua madre, oltre a fare in fretta, riesca a togliersi di dosso quell’aspetto dimesso e affaticato. Nell’ammirare la sua noncuranza, ne teme le conseguenze con gli altri, soprattutto ora che le conoscenze sono le sue e non più quelle dei genitori. Benedetta lo sa bene e, pur non permettendo critiche, rispetta le sue paure e le mette in equilibrio con la sua libertà.
– Pronta.
Sembra nuova di zecca, messa a lucido per l’occasione è un vanto per tutti. Augusto si risveglia da dietro la montagna di bucce di mandarino e approva soddisfatto, Alice sorvola dal cellulare al capello fonato, al trench rosso fuoco, per poi riparare silenziosa nella sua chat.
– Sbrighiamoci.
Andrea non vuole dargliela vinta così presto, la sua strategia di pretese implicite deve essere efficace per tutta la sera.
– Un attimo.
Con un piede già fuori dalla porta e l’ascensore che scampanella al piano, rientra di corsa in casa e ne esce carica d’immondizia: voilà, l’incantesimo si è spezzato. Tutti tremano alla possibilità che Benedetta non riesca a tener fede ai suoi propositi.
La strada scura della notte fa a pugni con i venti gradi sconvolgenti di questo folle aprile. Se non fosse che le spetta ancora l’incombenza della guida e, quindi, il ruolo di madre, sembrerebbero due amiche. Un po’ perché quella differenza di età con il tempo si assottiglia sempre più, un po’ perché Andrea con il suo carattere ha sempre schiacciato sull’acceleratore per bruciare le distanze.
Benedetta, logorroica, parla a ruota libera e intercala con risolini vivaci, senza accorgersi del suo monologo se non al rosso del semaforo.
– Che guardi?
Andrea è assorbita dallo schermo nero e bianco del cellulare, i caratteri fitti e microscopici non rivelano niente alla presbiopia inclemente della cinquantenne al volante.
– Due dati per l’intervento.
Nell’euforia di una sera per loro due, si era dimenticata che in realtà Andrea aveva un impegno serio da affrontare. Quelli della politica, ogni volta che c’è da mostrare un cammeo fresco e vincente, la interpellano e lei ne approfitta per mettersi alla prova, per vedere se alla fine ci sarà qualcuno a darle retta.
– Di che parli?
– Di diritto alla casa.
Il tono di rimprovero le rammentano che ne avevano già discusso, ma Benedetta ultimamente tende a resettarsi velocemente. Da quando ha capito che non hanno più bisogno di lei, ascolta educatamente senza trattenere nemmeno un’informazione in più del necessario, col risultato di apparire sempre più assente e scostante. Si gode la guida rilassata e si perdona la dimenticanza.
La sala dell’incontro è nel cuore laborioso della Brianza e, approfittando dell’anticipo, passeggiano nel centro, come durante un normale shopping del sabato pomeriggio. Benedetta riflette che non concede mai a se stessa o alle figlie ritagli di tempo, se non per far fronte a qualche necessità. Il piacere lo consumano in compagnia, fuori casa, mentre Benedetta se ne priva, ritenendolo superfluo. Svoltando, riconoscono al primo sguardo un ristorante vegano dove avevano pranzato anni prima. Benedetta è ferita dal ricordo del suocero al tavolo, sorridente e sorpreso dal menù stravagante. Trova la vita profondamente ingiusta, il tempo implacabile e feroce.
– Ti ricordi?
Andrea annuisce e passa oltre, quel mondo non le è mai appartenuto. Poco più avanti un negozio lussuoso di scarpe espone costosi stivaletti di pelo e, insieme, ricordano quando il papà di Benedetta ne aveva regalato la copia, più economica, alla nipote. Lì, anche Andrea si sofferma nel ricordo, serbandolo gelosamente.
– Sono stata fortunata, ho avuto dei genitori buoni.
Benedetta parla a sé stessa, a voce alta.
La sala è inaspettatamente gremita. Gli ultimi incontri pre-elettorali erano stati disertati, forse all’uomo si addice di più l’opposizione. Benedetta, in fondo, di politica ci capisce poco, ma di persone inizia ad avere una certa esperienza e, dato che nulla nasce per caso, collega l’atteggiamento lagnoso e distruttivo del partito alla folta schiera di quelli che sono bravi a vedere la pagliuzza dell’avversario, facendone una trave, e nel frattempo si battono il petto senza chiedersi il perché del fallimento. Trovano posto vicino alle finestre che si aprono direttamente sulla strada, facile via di fuga. Madre e figlia bisbigliano e si guardano intorno come due comari. Andrea si alza e si risiede più volte per definire i tempi del suo intervento, salutare qualche conoscente, stringere la mano a chi si presenta incuriosito. Benedetta inizia a sentire la malinconia peri il suo Svevo, in attesa sul comodino. Convenevoli, lusinghe, lacrime di coccodrillo, frasi di rito, omissioni strategiche e l’incontro ha inizio. Benedetta ascolta, si concentra e cerca di capire. Qualcosa, però, la distrae: il pregiudizio, la noia, l’indifferenza per l’argomento, la mancanza di soluzioni? I pensieri si affastellano uno sull’altro creando un muro impenetrabile se non per una minuscola fenditura, un occhiello attraverso il quale, come un mirino, colpisce il volto del relatore di turno. Da quel punto di vista privilegiato inizia il viaggio della sua fantasia e ogni particolare le racconta una storia, inizia una narrazione nuova che la tiene occupata e non l’annoia.
Andrea è rilassata, ogni tanto vaga con lo sguardo alla ricerca del compagno che l’affiancherà nell’intervento, ma che ancora non compare. Più passa il tempo e più si agita, terrorizzata di non avere la sua spalla. Benedetta è distratta dal carico che sta gonfiandosi al suo fianco e, cascando dalle nuvole, coglie giusto due, tre parole dell’assessore. Come benzina sul fuoco, le infiammano la gola e inizia il solletico ben noto che prelude alla tosse stizzosa, chiaro sintomo di nervoso. Alle prime avvisaglie, si alza e si fionda fuori, sfogando tutto quello che è costretta a tacere, tutto il suo disaccordo, in una convulsiva crisi d’asma, che cerca di nascondere rintanandosi nella piazza deserta, attigua al parcheggio.Mentre si dimena, affamata d’aria, tra il fiato corto e il muco che scorre copioso da occhi e naso, si arrabbia con il suo corpo vendicativo che non le concede mai di fingere. Inveisce contro la sua laringe che, costretta al silenzio, si contorce in spasmi sadici. Si ripete che non tace per difendere se stessa, ma per rispetto di Andrea, delle sue scelte, delle sue fatiche. Lo squillo del messaggio la fa trasalire. Butta il fazzoletto inzuppato, si sistema e legge. “Cinque minuti dall’inizio e mamma è già uscita per la tosse nervosa 🤦♀️”
Andrea rimane sola, ma non si arrabbia più con sua madre. Prova tenerezza per tutti i suoi sforzi vani di risultare amorevole e comprensiva. Ormai, dopo anni, se ne è fatta una ragione: Benedetta è così, dura e intransigente. Da bambina ci soffriva per quel modello di risolutezza irraggiungibile, ora la vede per quello che è. Riconosce e accetta anche i suoi lati più spigolosi, quelli che un tempo la ferivano e non aspetta più l’allegria e l’energia a compensare il danno subito. Rimane seduta in attesa del suo intervento e non si preoccupa di recuperarla dalla piazza, perché è certa che se la sa cavare benissimo. É il suo momento. Come in una staffetta si alza, mentre sua madre si risiede al suo posto. Il tavolo del dibattito è una mezzaluna che si protende verso il pubblico, da un gradino più elevato. Quando imbarazzata cerca la sua sedia, alle spalle, si avvicina galante il suo compagno e, invitandola a sedersi con un sorriso rassicurante, inizia a parlare. Parte padrona di sé, come se fosse nata per arrivare al cuore della gente. Non dimostra i suoi ventitré anni. Benedetta tiene stretto il suo orgoglio perché sa di non avere meriti per quella figlia così matura, è quello che ama definire una fortuita botta di culo. Conclude impacciata l’intervento, col timore di non aver rispettato i tempi e lascia il testimone all’altro relatore. Poche frasi e Benedetta è costretta a riuscire perché la tosse è tornata impietosa a comandarla. Decide di non rientrare più, le persone iniziano a guardarla malevolmente e a temere di beccarsi qualche virus schifoso. Respira profondamente le note scure del cielo e si gode la pace, contenta di potersi portare a casa l’intervento della figlia.
