Racconti a frammenti

Bye Bye Baby

Frammento 2

– Questa volta è l’ultima. Non corro più ad ogni sua chiamata, anzi non gli rispondo più, lo giuro. – 

Attraversava l’aria, il passo sicuro apriva facilmente un varco tra la gente. La folla si scansava ossequiosa, intimorita dall’autorità implicita delle spalle larghe e della schiena protesa a seguire la velocità dei piedi. Sembrava alla testa di una staffetta immaginaria tra le vie del centro, intasato dai preparativi per il Natale. La cuffia calata fino al sopracciglio e la sciarpa alzata fin sopra il naso le conferivano l’aspetto di un rapinatore o, meglio, di un terrorista. Al semaforo attraversava fregandosene del rosso, dribblando le auto in coda, costrette a repentine frenate e, agli improperi che ne seguivano, rispondeva alzando le spalle.  – Al diavolo, consumatore di merda. – Gli urlava, mentre proseguiva la sua corsa e gli mostrava il dito medio alzato, celato dalle muffole di lana che aveva confezionato con i gomitoli d’avanzo di sua sorella. Da ragazza, i gestacci le venivano perdonati perché coerenti con quel piglio battagliero e provocante; adesso, erano liquidati come sintomo di qualche turba. Più la meta si avvicinava, più rallentava per non presentarsi all’appuntamento trafelata. Il baretto era sempre lo stesso da trent’anni, nonostante gli storici proprietari avessero ceduto la gestione ad una loro brutta copia. Meno ideali, più concretezza, l’opportunismo di sfruttare un formato collaudato avevano concesso a lei, nostalgica, l’illusione che nulla fosse cambiato, che ancora si potesse respirare la stessa atmosfera, anche se al panino con la mortazza avevano sostituito quello con l’avocado. D’altra parte, immaginare di mangiare carne, ora, le appariva come un abominio, rinnegando il suo passato da indefessa carnivora. Passato che lui, premurosamente, le rammentava quando ostentava un subdolo pacifismo, frutto, a detta sua, dell’ascesi alimentare. Bastava quel cenno ben assestato per scatenare il suo broncio e il suo feroce mutismo, capace di protrarsi per settimane. Allora, entrambi rincorrevano la solitudine tra le due stanze dell’appartamento condiviso. Il dehors era al gelo e i vetri appannati, mentre la bella scritta verde scozzese “Stalingrado” era usurpata da lucine intermittenti che mai Sandra e Osvaldo avrebbero osato. Sono i particolari che all’improvviso ti consegnano messaggi inaspettati, che rivelano ciò che il cuore non vuol vedere. Frammenti impazziti di realtà che ti si conficcano nella carne. Dopo tanta pazza determinazione, avrebbe voluto concedersi la libertà di lasciare andare i suoi propositi e di tornare sui suoi passi. I pensieri accompagnarono il suono del campanello sulla porta.

Si videro subito in mezzo agli altri. Pietro alzò la mano per richiamare l’attenzione di Giovanna, già rivolta nella sua direzione, in quel posto che occupavano sempre quando era vuoto. Sorpassò il paradiso ambulante, scansandone le curve e si presentò al tavolo come una ventata d’aria fresca.

– Non sono in ritardo, vero? – 

– No, ero in anticipo. Lo sai che la puntualità, nel bene e nel male, non è il mio forte. –

Non lo ascoltava, o faceva finta, tutta presa dal togliersi strati di lana per restituirsi più snella al suo spettatore. 

– Dev’essere gran freddo fuori… –

– Io vengo a piedi, non in auto. –  Puntualizzò, mentre richiamava con il gesto della mano la cameriera.

– Posso avere un tè, per favore. – 

– Latte o limone? –

– Niente, cara. – Con lei la ragazza aveva perso ogni attrattiva e appariva come un docile agnellino. A Pietro sembrò, addirittura, non masticare più l’ingombrante chewin gum. Tolse il cappellino a coste con un movimento ampio del braccio, un semicerchio scenografico sullo sfondo del locale.

– Ma cosa hai combinato? – I suoi occhi verdi strabuzzarono, penetrando lo spazio che li separava.

– Ho tagliato i capelli. –

– Quello lo vedo anch’io. Intendevo il colore…-

– Quale colore? Non ho fatto nessun colore. – Le dita attraversavano montagne di soffici capelli argentei e davano forma al bel tondo della sua testa.

– Appunto! Non sei vecchia, perché non ti tingi? – 

– Per non soddisfare il diktat machista di voi uomini che ci impone un’innaturale eterna giovinezza. -Non valeva la pena insistere, quando l’attacco era quello, Pietro sapeva di aver perso in partenza.

– Perché mi hai chiamato? C’è qualche problema? – Sorseggiava il suo tè che, inutile dirlo, si presentava nero e liscio.

– Giovanna… – Continuava ad agitarsi sulla sedia in preda ad un’incontrollabile tarantella.

– Si? – Lo sguardo puntato sul suo volto e quel profumo di pane appena sfornato che saliva lento dalla sua pelle alle sue narici. Lo stava infinocchiando, lo sa bene che non sa resistere a quell’aroma familiare che assapora con la testa incastrata tra i suoi seni e il mento poggiato sul suo ombelico.

– È finita. – Pronunciò incerto, con la voce alterata, mentre il suo desiderio lievitava insieme a quel profumo.

– Ci risiamo, Pietro, è possibile che ad ogni prima tu debba rompermi le palle. –

Si accasciò sulla sedia, esausta.

– Che c’entra, adesso, il tuo lavoro. –

– Questo me lo devi dire, tu! Ogni volta che inauguriamo un nuovo spettacolo, tenti di fare la prima donna e di rubarmi la scena, sei infantile, cazzo. – Aveva riacquistato il piglio marziano e gli puntava addosso il dito da maestrina.

– Io, stasera non vengo. – 

– Fai come ti pare, non mi interessano i tuoi capricci. Chiamerò un’amica ad occupare il tuo posto in prima fila. – Si alzò e lanciò una banconota stropicciata sul tavolo. – Paga il mio tè. – Si girò e se ne andò.

Pietro non ebbe nemmeno il tempo di controbattere. Si strinse la sciarpa verde per timore di raffreddarsi e, stupito, stirava quei cinque euro che a lei non avevano chiesto in anticipo.

Il teatro era sold out, lei sedeva concentrata in prima fila per non perdersi nemmeno una parola della sua sceneggiatura. La borsa poggiava nel posto vuoto al suo fianco. Dall’altra parte della città, in un letto anonimo lui esplorava solitario un paradiso che sapeva di chewing gum alla fragola. Lo spettacolo le era sembrato soddisfacente, non entusiasmante. Il pubblico lo aveva apprezzato più per la protagonista che non per la sua trasposizione. Nessuno si accorge della riuscita o meno di un testo, se non quando manca l’obiettivo. Raccattò la sua borsa e se ne andò di soppiatto per evitare pietosi inviti della compagnia. Nel foyer, appoggiato a una colonna laterale, l’aspettava con le mani in tasca. 

– Sei venuto. – Si strinse nelle spalle. – È un po’ tardi, lo spettacolo è finito. – 

– Volevo portarti un regalo. – Frugò nelle tasche dei pantaloni. Le ciglia si poggiarono sulle guance rivolte in basso, il mento timido sparì sotto il naso, i capelli si avvolgevano in spirali sulle spalle. Intrufolava le mani colpevoli in ogni angolo segreto dei suoi vestiti. Vedeva sempre più vicine le polacchine marroni e il risvolto dei pantaloni di velluto. Si mise ritto e i loro respiri si incrociarono alla ricerca di risposte. Tra le loro bocche comparve un piccolo involucro di carta scintillante.

– Un bacio? –

– So che sei golosa. – Lo scartò e ne diede un morso.

– Tu, sei quello goloso. – E gli poggiò sulle labbra l’altra metà. 

La prese sottobraccio e si incamminarono fuori dal teatro.

– Comunque, scegliere il cioccolatino di una multinazionale…Con tutti i piccoli produttori che…

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